Oriella Savoldi, amica e compagna delegata sindacale a Brescia, mi ha fatto conoscere una donna meravigliosa, CHUAN ZHANG, esempio di forza e dolcezza e caparbietà per un futuro migliore per lei come donna e per il suo bambino.
A lei è dedicato l'incontro con Ina Praetorius che si terrà a BRESCIA il 28 gennaio 2012 - Sala Pia Marta - via San Faustino, 70 ore 15.30.
Nata il 25 Luglio 1966, in un villaggio della contea cinese dello Zhe
Jiang. E' morta in modo tragico il 2 Agosto 2001 nella città di Wen Zhou, dove
si trovava in visita al figlio. Migrata clandestina, ha pertecipato alla
"lotta degli immigrati bresciani" per il permesso di soggiorno in
Italia. A Brescia, conosciuta e stimata, operaia tessile, ha trascorso gli
ultimi anni della sua breve vita.
Ricordarla ed illuminare momenti
della sua vita passata e condivisa in questa città. Dire il dolore, lo stupore
per la sua morte. Lei giovane donna, immigrata clandestinamente. Le lotte che
ha combattuto. L'amore per suo figlio. Chi era per noi. Cosa abbiamo imparato.
Di cosa parla la sua vicenda umana e politica.
La partenza di Chuan
Oriella Savoldi
Agosto 2001 Chuan è stata uccisa
dal marito giovedì 2 Agosto 2001, appena dopo la mezzanotte di mercoledì.
Ricostruire i suoi ultimi giorni in Cina, così pochi, neanche tre giorni, è
un'impresa ardua. Le difficoltà sono la distanza, la lingua. Il sistema di
scrittura. Dal racconto della sorella, contattata al telefono dalla Sig.ra Wang
Shengping, mediatrice culturale dell'ufficio stranieri del Comune di Brescia,
ci arrivano notizie che placano in parte il bisogno di sapere. Non c'è rimedio
a quanto accaduto, ma conoscere gli eventi è un modo per fare i conti con il
dolore pur nella consapevolezza che l'assenza, resterà incolmabile. Chuan non
c'è più. La sua giovane vita è stata spezzata con ferocia. Chuan, così dolce.
E' arrivata dal suo bambino nel primo pomeriggio di mercoledì - si coglie dal
racconto della sorella - lo ha abbracciato, ha incontrato la suocera a cui
l'aveva affidato. Ha visto il marito con cui pensava di discutere una possibile
ricongiunzione familiare a Brescia. Ha preparato la cena e ha dato da mangiare
a suo figlio. Sono venuti i vicini a salutarla, a festeggiare il suo ritorno.
Poi la sera tardi, poco prima mezzanotte, il bambino si è ritirato a dormire
con la nonna e i vicini sono tornati alle loro case. Chuan ed il marito sono
rimasti soli. Pare pochi minuti, un tempo troppo breve per parlare, per
discutere, per qualsiasi cosa, tranne che per la morte. I vicini hanno sentito
chiedere aiuto. Sono corsi. La porta era chiusa dall'interno. L'hanno forzata
ed alla fine ha ceduto. Hanno chiamato l'ambulanza. Null'altro. Chuan, pare
fosse già morta. Certo il marito l'avrà osservata quell'unico pomeriggio. La
ricordo la sera prima che partisse. Mi aveva invitato a cena con altri due suoi
amici connazionali. Un modo il suo per salutare, per ringraziare. Per
festeggiare. Era felice Chuan. Raggiante. Finalmente le sue vicende avevano
preso un verso giusto. Aveva ottenuto il permesso di soggiorno. Lottando e
senza pagare nessuno. Era questo che raccontava spesso e che era motivo di
soddisfazione per lei. Aveva un lavoro. Molti rapporti a cui teneva. Persone
che le volevano bene. Compagne di lavoro, compagni e compagne con cui aveva
condiviso una battaglia politica, amici, amiche. Conoscenti. E adesso aveva un
mese intero, tutto a posto, per tornare in Cina. Per suo figlio. Per sua madre.
"Quando io sono sola, io sempre pensare. Tanto, eh! Mia mama, mio papa,
mio bambino. Io sempre preoccupata." In Cina avrebbe voluto andare già da
tempo, ma mancava sempre qualcosa. Prima il permesso di soggiorno. Ottenuto il
permesso avrebbe voluto partire, ma era subentrato subito un lavoro regolare:
assunzione a tempo indeterminato in una industria di confezione. Conosceva bene
la saltuarietà del lavoro. Unica condizione a cui puoi accedere da clandestina.
Magari a cucire i pantaloni delle divise dei carabinieri, come a lei era
capitato! "Lavoro nero" lo chiamano. Lavoro che c'è ma non c'è. E se
non ti pagano non puoi rivalerti in alcun modo. In fondo che pretendi, è già
tanto se ti fanno lavorare. Non ti stanno forse aiutando? Così è la convinzione
diffusa. Lei l'aveva imparato ed ora, no, non poteva permettersi di perdere
quel lavoro che le veniva proposto. Aveva accettato consapevole che questo
avrebbe rimandato ancora la sua partenza. Non avrebbe potuto assentarsi subito.
Avrebbe dovuto aspettare le ferie: in agosto, le avevano detto. Era poi stata
tentata di andare nel periodo pasquale quando l'azienda aveva annunciato una
breve chiusura. Dodici giorni a disposizione, troppo pochi anche per via del
costo del biglietto aereo da ammortizzare, ma forse sarebbe stato possibile.
Partire e ritardare un po' il rientro. Un'idea che si era affacciata nella sua
mente. Qualche pretesto l'avrebbe trovato per giustificare il ritardo. E se non
avesse funzionato? Non poteva certo permettersi di perdere il lavoro.
Condizione necessaria per ottenere il rinnovo del suo permesso di soggiorno che
dopo qualche mese sarebbe scaduto. A ottobre, per la precisione. E lei in
Italia voleva restare. No, anche questa volta doveva rimandare. Pensieri,
difficoltà, un continuo patire, che la costringevano, di volta in volta, a
mettere a tacere il desiderio. A spiegare a chi in Cina era rimasto.
Spiegazioni probabilmente incomprensibili per chi non ha dimensione di una
realtà lontana, del suo modo di funzionare. Forse anche all'ascolto di quel
marito con cui discuteva al telefono e dalle cui botte - si saprà poi - era
fuggita, per venire clandestinamente in Italia. Lei, sola, aggregata ad un
"viaggio organizzato", a piedi - attraverso le montagne, il freddo,
quella che chiamano la via cinese - indebitandosi per una cifra più grande di
lei. Ventiquattro milioni le era costato. "Finito di pagare, io, a
dicembre 2000, pagato tutto" diceva. E poi finalmente le ferie erano
arrivate. Ed era partita. Aveva un mese di tempo. Non era tanto, ma forse
sarebbe bastato per viversi gli affetti e trovare una qualche soluzione che le
facilitasse il contatto con il figlio. Era arrivata con l'aereo, in tasca aveva
il biglietto di ritorno e un po' di soldi. Qualche milione. Tutto quello che
era riuscita a risparmiare. Guadagnato con il suo lavoro e vivendo con molto
poco. Ma ce l'aveva fatta. Tutto questo avrà trasmesso il suo volto, il suo
sorriso, il tono della sua voce. Lei che attraverso le labbra faceva parlare il
cuore. Era questa la sua forza. Paradossalmente una trasparenza che la lasciava
indifesa. Non potevi non volerle bene. E' così che la immagino. Felice e
soddisfatta vicino a suo figlio. A chi la stava festeggiando. Sotto lo sguardo
di quel marito dal cui dominio si era affrancata con la sua venuta in Italia.
Lui avrà visto. Chuan ce l'aveva fatta. Ce l'aveva fatta senza di lui. Quella
donna, solo una donna, che lui nel passato, sposandola, aveva strappato da una
situazione di povertà in cui viveva con la sua famiglia. Da quel villaggio in
montagna. L'aveva portata in città. Le aveva offerto una condizione più agiata
economicamente. E chissà quali immagini di bella vita saranno passate nella sua
mente. Suoi connazionali emigrati in Italia, da Brescia non avevano mancato di
far arrivare nella contea commenti e giudizi. Le chiacchiere, si sa, non
conoscono frontiere. E nella distanza sono buon nutrimento per un cuore
sospettoso. O avvelenato da un desiderio di dominio rimasto insoddisfatto. E
poi lei, che affronto! Andare in Italia quando non le mancava niente! E là,
frequentare troppe persone. Italiani, pachistani, senegalesi, marocchini. Era
sempre in piazza durante tutta quella lotta di immigrati. Per lo più di uomini.
Nei presidi davanti alla questura. E si sa, era stata messa in guardia. Le voci
fra connazionali giravano. Di lei parlavano male. Per via del suo modo di
comportarsi, ma lei, niente, si sentiva e si sapeva a posto. Non aveva nulla da
rimproverarsi. Io lo so. Nulla da nascondere. Che testarda! Eppure - mi
raccontano, - le era stato ricordato. In Cina non si fa così. Tutto è diverso.
Non si danno baci sulla guancia per salutare. Non si parla con tutti. Era una
donna sposata! Inaccettabile che lei non ascoltasse, non si confidasse. Fra
connazionali - si dice - ci si aiuta. Anche dei maltrattamenti che il marito le
infliggeva, mai ne aveva fatto parola. Voci che circolano anche adesso, mentre
del marito si dice poverino! Considerazione, quest'ultima che dopo lo stupore
per quanto accaduto muove l'indignazione. Basta! E' una voce di donna che si
libera e rompe un circolo vizioso. E mette allo scoperto miserevoli chiacchere,
insostenibili pregiudizi. Basta!
Chuan è morta. Devo continuare a ripetermelo. Ancora non riesco a credere. Lei,
sempre di corsa. Era arrivata lunedì sera a Shanghai, dalla sorella dove aveva
dormito. Era ripartita il giorno dopo per il suo villaggio dove aveva
incontrato la madre ed il padre. Era stato il padre a trattenerla altrimenti
sarebbe ripartita subito per Wen Zhou, dove viveva il figlio. Pare che lei
avesse raccontato delle discussioni telefoniche con il marito. Del fatto che
lui fosse arrabbiato. Ed il padre si era offerto di andare con lei. L'idea era
di prendere il bambino qualche giorno e portarlo lì, dai nonni materni, che non
l'avevano più visto dalla sua partenza. Ma lei, no, non si era fatta
accompagnare. Nessuno aveva insistito. Quanto sarebbe successo non era certo
immaginabile. Sola, era ripartita il giorno dopo. Mercoledì 1° Agosto. Chissà
quante volte aveva immaginato quel momento. Il tempo in cui aveva scritto sul
suo diario che credeva di morire per via delle botte le sarà parso lontano.
Avrà pensato che adesso era tutto diverso. Aveva raggiunto una posizione dalla
quale le sarebbe stato possibile contrattare. Non dipendeva più economicamente.
Avrebbe potuto chiedere la ricongiunzione e portare il suo bambino in Italia.
L'avrebbe chiesta anche per il marito se lui avesse posto questa condizione.
Oppure se tutto questo fosse stato impossibile ci sarebbe pur stato un modo per
mantenere un rapporto con il figlio. Un bambino ancora così piccolo. Che aveva
cominciato ad andare a scuola. Era fiduciosa Chuan. Adesso le cose si sarebbero
sistemate. Quello che non aveva previsto - ed è storia di molte donne -é che
lei, tutta intera, in quel suo pensarsi libera, alla stessa altezza, per
contrattare, ascoltando l'amore per sé, l'amore per il proprio figlio, era la
dimostrazione concreta dell'irrealizzabilità di qualsiasi desiderio di dominio
maschile. Cosa c'è nella libertà femminile di così intollerabile per la mente
maschile? Che cosa rende così cieco un uomo, tanto da portarlo ad infierire su
un corpo femminile? Fino a procurarne la morte. Con ferocia. Quando mai ci sarà
un uomo che vorrà raccontarsi? Raccontare quello che accade nella propria
testa? No, Chuan non aveva previsto. Chuan che è morta, non senza vedersi
morire. Chuan che ha chiesto aiuto. Chuan così giovane con tutte le sue
fatiche, i suoi sogni infranti. "Zia, quando io sposata, bambino piccolo,
io lavorare, lavorare, lavorare per tutta la famiglia. Pulire casa, fare da
mangiare per tutti. Io, stupida, lavorare tanto. Io, più, zia, più stupida.
Adesso capito"
Avevi capito Chuan.
Cosa Chuan?
Non avevi ancora le parole per dirlo, troppo poche quelle disponibili alla
comprensione comune. E tu stessa eri stupita, disorientata, dalle scoperte che
di te andavi facendo. Di un mondo, qui, che non conoscevi. Dai significati che
intuivi. E' parlando con te che ho imparato la necessità di stare
all'essenziale nel comunicare. Per via di quelle poche parole, ma anche per i
diversi significati che possono assumere le stesse identiche parole. Che non
basta parlarsi per capirsi. Perché il senso che si vuole comunicare passi è
necessario riformulare in continuazione. E che la difficoltà di comprensione
non necessariamente è per via del fatto di essere fra stranieri. Straniere.
L'una all'altra. E che la fatica che questo comporta ha a che fare con un
desiderio autentico di relazione. Di lavorare alla costruzione di rapporti.
Quelli che animano la propria vita.
Prima lo sapevo teoricamente, non
per averlo sperimentato.
E' con te che mi si è mostrato in
tutta la sua evidenza e portata. Con te che non hai fatto altro che costruire
rapporti, sopportandone la fatica. Avendone cura. Con stranieri, connazionali,
stanziali. Di cui hai favorito l'incontro, facendo da ponte. Come quando ci
invitavi a cena, in ristoranti cinesi. O portavi le tue amiche o amici al
Magazzino 47, in CGIL.
Senza che io ed altri, altre
capissimo, - mai tu avessi fatto una parola, una critica - quello che tu in
pregiudizi e cattiverie stavi pagando.
Ciao Chuan, ho scritto a tua madre
ed è vero: la mia vita senza di te, adesso, è più povera. Resta un vuoto
incolmabile. Ciao Chuan.
Grazie Chuan.